venerdì 16 settembre 2011

QUANDO UNO E UNO FANNO TRE

Non sapendo come, voglio raccontarvi, tramite la mi voce, di un fatto assai curioso.

Quando uno e uno fanno tre!

Non sarà facile convincere la vostra ragione. Quindi Vi chiedo di leggere lasciando correre la vostra fantasia, se ancora ve ne rimane (come direbbe "lui").
Grazie e cominciamo....

1 -
L'incontro fu un evento apparentemente fortunato, o allora così avevo pensato:
- "Ma guarda un pò te! Da dove è uscito questo?"
Sentii prima di tutto la sua voce che diceva:
- "Dobbiamo imparare a vivere aspettando...e ad aspettare vivendo!"
Mi voltai e vidi un uomo alto, con una lunga coda di capelli ricci neri, indossava un cappotto anni trenta, era appoggiato al banco e teneva in mano una pinta di 'rossa'. Era solo, guardava verso la sala, dove qualcuno stava ballando e mi sembrò che parlasse ad un telefono...
Mi accorsi quasi subito che non era così, stava parlando da solo!
Mai visto... Non mi era mai capitato di vedere l'atteggiamento comune del 'barbone' (sparare sentenze a chi gli passa accanto) in una persona 'normale'...
Lui direbbe che di normale non ha niente nessuno, e non ha tutti i torti.
Comunque iniziai ad osservarlo incuriosito e capii che era lì per imparare, studiava il comportamento sociale degli avventori di quel disco bar di periferia...
Quando stavo per andarmene si diresse alla pista e iniziò un ballo fatto di quei piccoli movimenti sincretici di gambe e bacino tipico dei neri che Noi bianchi rendiamo ridicolo quando proviamo a imitare.
Nonostante mi sembrasse notevolmente bravo, notai che ballò senza attirare l'attenzione e senza disturbare l'armonia che ormai c'era sulla pista. Uscendo dal locale ebbi due contrastanti impressioni perchè tanto mi sembrò fuori luogo al banco, tanto era a suo agio da solo in pista.
Quella notte lo sognai...anche se sotto forma di pura luce lo riconobbi sopratutto dalle emozioni che scaturivano da lui e invadevano tutto ciò che lo circondava.
Il sogno fu rinfrancante e mi sveglia felice; notai quasi subito una sottile variazione nel mio percepire la luce. Come al solito mi preparai per andare al lavoro e un pensiero mi accompagnava:
- "Quanto ancora riuscirò a sopportare quella stracciacazzi di mia moglie? ...quando la smetterà?"
La giornata si concluse, la monotonia pervadeva i miei sentimenti. Rimasi sul divano ad ascoltare musica. fu solo quando mi decisi a prepararmi per la notte che mi ricordai di lui e pensai:
- "Niente può apparire fuori luogo come ciò che più vi si adatta, accettandolo."
Ovvio, questo è uno dei più classici errori della cultura occidentale. La differenza tra partecipare e possedere; fare parte di un ciclo, un disegno superiore o rendersi direttori del traffico. Comportamento passivo, nel senso dell'accettare ciò che ci circonda per scoprire lo spazio della nostra felicità, o attivo, nel senso di trasformare ciò che ci circonda nel tentativo di costruire uno spazio per la nostra felicità.
Bhe, non sò come mai fui folgorato dal pensiero che Lui avesse trovato la risposta: accettare ciò che c'è per essere partecipe della trasformazione che è insita nella vita stessa.
Il problema era come fare 'mia' questa folgorazione?
Quali passi seguire per perseguire lo scopo della felicità?
E sopratutto: come far aprire gli occhi della mia 'acida' metà su questa scoperta in modo che potesse seguirmi?
Pensai:
- "Innanzi tutto accetta!"

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